La lavandaia lavava i panni dei signori che potevano permettersi di noleggiare la “lavatrice umana”.
La lavandaia lavava i panni nel torrente con qualsiasi tempo e temperatura, inginocchiata nell'erba o al lavatoio. Andava prima per famiglie a raccogliere i panni sporchi da lavare e poi si portava al torrente per iniziare la sua opera. Dopo aver finito di lavare, i panni venivano stesi sull'erba ad asciugare. I ferri del mestiere erano la cenere del camino “a liscivia”, l'acqua del torrente e tanto “olio di gomito” per strofinare e sbattere sulle pietre del torrente i panni. Spesso era necessario far bollire la biancheria sporca ed a questo proposito venivano preparate le “quadare” dove venivano bolliti i capi più grandi e resistenti come lenzuola e tovaglie, in questo modo si otteneva la sterilizzazione del bucato e, soprattutto, l'eliminazione dei parassiti come acari, cimici, pulci un tempo molto presenti ed infestanti nelle abitazioni. Questo mestiere duro e faticoso, ora scomparso con l'avvento delle lavatrici, permetteva alle donne, sopratutto vedove o sole, di sbarcare il lunario, aumentando il magro reddito delle campagne.
Ma la lavandaia, almeno nell'immaginario collettivo, era una persona felice che cantava, sola o in coro con le compagne, allegre filastrocche e canzoni mentre attendeva al suo lavoro.
Il nome della santa patrona delle lavandaie compare per la prima volta nei vangeli apocrifi, atti di Pilato, riferito ad una donna di nome Berenice, in greco Veronica, che fu guarita da Gesù toccando il suo mantello.
Dal secolo XV in poi, in Occidente prende corpo la devozione verso la Veronica quale figura del gruppo delle pie donne, che asciuga il volto di Gesù con un panno o sudario, mentre percorre con la croce la salita del Calvario, rimanendo il Volto stesso impresso sul panno; creando così tutta una serie di varianti alla più antica immagine dell’emorroissa, raffigurata nella statua di Paneas. La donna sarebbe poi venuta a Roma, portando con sé la sacra reliquia; alcuni testi apocrifi come la “Vindicta Salvatoris”, dicono che il funzionario romano Volusiano, sequestrò con la violenza il telo alla donna e lo portò a Tiberio, il quale appena lo vide guarì dalla lebbra; Veronica abbandona ogni cosa in Palestina e segue il suo telo a Roma. Riavutolo, lo tiene con sé e prima di morire lo consegna al papa Clemente. La sua devozione è legata all’origine del culto del Volto Santo.
Santa Veronica ha un particolare culto in Francia, dove la si considera come la donna che dopo la morte del Salvatore, andò in sposa a Zaccheo e si recò ad evangelizzare le Gallie e sarebbe morta nell’eremitaggio di Soulac. Chiamata anche s. Venice o Venisse, è patrona dei mercanti di lino, delle lavandaie e dei fotografi.
Claudio Rocca
Mercoledì 20 Settembre 2017 11:33