Oggi la maggior parte della produzione degli oggetti di uso comune è affidata alle macchine e l’intervento della mano dell’uomo è limitata; i lavori artigianali vanno quindi quasi estinguendosi. Tra i mestieri quasi dimenticati troviamo il cestaio. La produzione delle ceste partiva dall’uso dei giunchi, dai rametti di salice e dalla “lësca”, un tipo di erba palustre.
Gli oggetti prodotti erano di uso comune, di tutti i giorni: la “cavagna da pan”, “la cavagna saroira” – una cesta con sportellini, usata per trasportare polli o conigli, il “cavagnin” – cesta più piccola e maneggevole usata solitamente per trasportare prodotti piccoli quali funghi o uova, il “gorbel”, grosso cesto usato per lavorare il grano. Nel grosso cesto venivano fatti rimbalzare i chicchi per separarli dalle bucce. Un altro tipo di cesta era il “val”, un cestino a due manici usato per far prendere aria ai legumi. Sempre con piccoli rametti erano prodotte le gabbie per i merli o altri uccelli domestici. Anche le sedie erano prodotte intrecciando cordoni preparati con foglie dure di piante acquatiche intrecciate. Poi ceste da biancheria, vassoi, portapane o altri oggetti di uso comune: oggi il lavoro del cestaio è stato soppiantato con prodotti soprattutto in plastica. Il lavoro del cestaio partiva dal far essiccare i rametti o le erbe da utilizzare oppure dallo scortecciare i rami più spessi e resistenti, come quelli di nocciolo o salice: questi venivano lavorati con la roncola, una specie di coltello con la lama curva. La difficoltà consisteva nel fatto che pur essiccati, dovevano conservare un certo grado di umidità per essere flessibili e malleabili; in caso contrario si sarebbero spezzati, ma allo stesso tempo non troppo umidi per non risultare viscidi: in tal caso non si sarebbero intrecciati ma sarebbero scivolati deformando il manufatto. Si preparava prima la base piana poi si lavorava la cesta salendo fino a raggiungere l’altezza desiderata. Oltre alle ceste, “ël cavagnè” produceva anche le piccole ceste per rivestire fiaschi e damigiane. Queste ultime però avevano come base un solido disco di legno per poter sostenere il peso del liquido e del recipiente. Come ogni mestiere di un tempo, il cestaio aveva il suo santo patrono: in questo caso sant’Antonio abate. Il suddetto santo era patrono di molti mestieri artigiani proprio perché lui stesso si dedicò a lavori umili, tra questi proprio il cestaio.
Molto prima che ciò fosse una pratica comune tra i fedeli, egli praticò l’ascetismo nel deserto ad imitazione di Cristo e le sue tentazioni demoniache descritte nella biografia scritta da Sant’Atanasio hanno costituito il tema favorito di molti pittori e scrittori ed ispirato "La Tentation de Saint Antoine" di Gustave Flaubert. Padrone del fuoco e protettore degli animali, viene spesso raffigurato con accanto una fiamma ed un maialino, ragione per cui è anche chiamato "Sant’Antonio del porcello". Egli era il santo prediletto dai contadini ed inoltre patrono dei cestai, dei porcai, dei ceramisti e di molte altre professioni, ma era famoso soprattutto per le sue capacità curative sì da penire il santo taumaturgo per eccellenza. In Italia sant’Antonio abate è festeggiato come patrono degli animali il 17 gennaio ma in Francia, nella zona dell’alta Marna, nelle Ardenne, ogni anno, a metà gennaio, la festa di Sant'Antonio celebra la festa della corporazione dei cestai – onora il santo patrono del settore. In quella zona ancora oggi è ricca di giunchi e canneti. A Savigliano trovavamo i cestai Mussetto in via Sanità, Galfrè in via sant’Andrea e Berardo in corso Roma.
Claudio Rocca
Mercoledì 18 Gennaio 2017 12:30