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La storia dell’abbazia di San Pietro parte da lontano: la fondazione, si dice, fu opera di san Fausto intorno all’anno 585. L’edificio e i suoi occupanti furono però vittima dei saraceni che ne fecero scempio nel 906: la ricostruzione avvenne nel 919. Fin qui, però, si parla di un precedente insediamento religioso e non ancora dell’attuale abbazia di San Pietro che oggi conosciamo. Si parla però di un vero e proprio primo insediamento monastico a partire dal febbraio del 1028, con la potente famiglia dei Salmatorio il cui esponente, un certo Abellonio che, con la moglie Amatruda, decise di far ricostruire a sue spese un monastero, dopo aver donato tutti i suoi averi, allo scopo di “redenzione delle anime”. All’atto di fondazione erano presenti quatto monaci, provenienti dalla Sacra di san Michele. Un documento riportava “Actum in isto loco Savillani prope ipsi monasterio S.Petri feliciter” cui seguono i nomi dei monaci: Alberto, Martino, Adamo e Ingelberto. Appena dopo l’insediamento elessero tra loro un primo abate, Adamo, il quale risulta dal primo documentato a partire dal fondatore san Fausto. Per volontà dei fondatori, l’abbazia dipese fin dalla sua fondazione, direttamente dalla Santa Sede “est in regimine et potestate San Petris in urbis Romæ”. Nel 1033 l’abate Colombano si reca dal pontefice Giovanni XVIII a chiedere protezione, della quale venne incaricato il vescovo di Alba. Dopo molti anni, intorno al 1250, venne eletto abate il priore Guglielmo, il quale investì della carica di abate il monaco Pietro. In seguito, con una bolla di Clemente IV, venne dichiarata la superiorità dell’abbazia su quelle della zona. Nacquero controversie che proseguirono per decenni, per le quali si ricorse anche alla Sacra Rota: se ne ignorano però gli esiti degli appelli. Si succedettero gli abati: dal Provana al Tapparelli, dall’Oggeri al Beggiami: intanto la storia del monastero procedeva, tra alti e bassi. Il monastero fu sede universitaria, per tre anni, per volere di Ludovico D’Acaja, quando venne trasferita dalla precedente sede di Chieri. Successivamente però, causa una forte crisi monetaria, una pestilenza ed una carestia, l’università venne nuovamente trasferita a Torino: inoltre, per Savigliano, essere sede universitaria era una spesa eccessiva. Nel 1459 venne ricostituito il monastero ed affidato ai monaci Cassinesi di santa Giustina da Padova. La storia del monastero riparte quindi dal 1476, per procedere fino al 1802, anno in cui venne soppresso per ordine del governo napoleonico. Al tempo era abate il saviglianese don Felice Benedetto Rossetti. Era il 28 termidoro dell’anno X: i 17 monaci furono costretti a lasciare il monastero, la biblioteca fu venduta e le proprietà passarono beni nazionali. Alcune famiglie saviglianesi acquistarono i suddetti beni. Più tardi, in seguito al ritorno dei Savoia e per effetto del congresso di Vienna, si ristabilirono gli ordini religiosi; nel 1829, il 14 ottobre, i monaci tornarono. Presso l’abbazia di san Pietro, con i monaci benedettini, si insediò il Regio Collegio, il quale ebbe qui sede dal 1850 al 1855, quando l’ordine fu nuovamente soppresso per effetto della legge Siccardi. I monaci continuarono a però a risiedere qui fino al 1859. Successive vicende videro il monastero pentare, come per gli altri complessi monastici, sede di caserma ed in seguito nuovamente sede religiosi.
Claudio Rocca
Giovedì 15 Febbraio 2018 16:02